Odissea

Odissea, riassunto.

Trama e riassunto dell’Odissea, poema epico di Omero, il più conosciuto poeta greco, che narra le vicissitudini di Ulisse a seguito della famosa guerra di Troia. Il libro dell’Odissea si articola in ben 24 canti.

La guerra di Troia  era finita con l’astuto stratagemma del cavallo di legno, conosciuto quindi come cavallo di Troia. Questo fu ideato da Ulisse, l’uomo dal multiforme ingegno, protagonista dell’Odissea, l’intramontabile ed eterno capolavoro attribuito al poeta greco Omero

La guerra di Troia.

La guerra di Troia era dunque ormai terminata da dieci anni. Tutti gli eroi sopravvissuti ad essa avevano fatto ritorno alle proprie case. Tutti tranne uno: Ulisse. Un destino avverso farà sì che il nostro eroe debba affrontare difficilissime prove prima di far ritorno nella sua amata patria, Itaca, dove i Proci, principi che si dicevano pretendenti di Penelope – moglie di Ulisse – dilapidavano con tanti banchetti i beni dell’eroe lontano.

Nella reggia di Itaca…

Nella reggia di Itaca, oltre a Penelope, moglie fedele di Ulisse, viveva il loro figlio, Telemaco. Quest’ultimo ancora bambino quando il padre era partito per la guerra di Troia, divenuto ormai grande e forte, mal tollerava l’arroganza dei Proci e sognava solo di poterli un giorno punire. Il padre di Ulisse, Laerte, non sopportando lo scempio che giornalmente si presentava alla sua vista, aveva abbandonato la reggia e si era trasferito nella vicina campagna.

In un posto da sogno…

All’inizio del poema, dunque stavano così le cose ad Itaca mentre Ulisse era trattenuto nell’isola di Ogigia dalla ninfa Calipso. Innamorata di lui, cercava di renderlo felice con dolci lusinghe in quel luogo incantato dell’estremità occidentale del Mediterraneo. E proprio in questo posto da sogno, un giorno si presentò alla bellissima Calipso il messaggero degli Dei, Mercurio. Egli era stato colà mandato dal padre Giove. Quest’ultimo, convinto dalla dea Minerva, aveva deciso di porre fine alle peripezie dell’eroe greco, Ulisse, e di fargli finalmente far ritorno alla sua patria e alla sua amata famiglia.

Giunto così all’isola amena ma lontana dal mondo degli uomini, Mercurio fece il suo ingresso nella spelonca, dimora della ninfa Calipso. Questa stava tessendo e insieme cantando mentre la legna odorosa, bruciando, diffondeva un piacevole profumo in tutta l’isola. Il passaggio tutt’intorno alla spelonca era paradisiaco tanto che avrebbe allietato anche un dio ma non Ulisse. Egli, sulla riva del mare, piangeva.

La tempesta di Nettuno.

Quando il dio Mercurio ebbe riferito a Calipso ‘dai riccioli d’oro’, ‘luminosa tra le dee’, il messaggio di Giove, ella rabbrividì. Manifestò il suo dissenso che comunque, alla fine, si trasformò in obbedienza. Obbedienza e nella promessa di aiutare, con i suoi consigli, Ulisse a far ritorno in patria. E così fece, suo malgrado, suggerendogli di costruire una zattera con la quale solcare il mare. Durante la traversata però Ulisse venne colpito da una furibonda tempesta scatenata da Nettuno, dio del mare, adirato con lui che gli aveva accecato il figlio, il ciclope Polifemo.

Ulisse naufrago.

La tempesta aveva sfasciato la zattera. Ulisse, scampato alla violenza dei flutti, approdò nell’isola di Scheria, terra dei Feaci. Stanco e privo di forze a causa del naufragio, l’eroe si addormentò – libro VI – sulla spiaggia. Il sonno durò fino a che non fu risvegliato dalle allegre grida delle ancelle di Nausicaa, figlia di Alcinoo, re del luogo. Intanto Minerva, per andare ancora una volta in aiuto di Ulisse, prendendo le spoglie di una cara amica di Nausicaa, si portò ‘simile ad un soffio’ sul ‘talamo dai molti ornamenti’. Questo dove, vegliata da due bellissime ancelle, Nausicaa, bella quanto una dea, dormiva sonni tranquilli e, venutale in sogno, la dea raccomandò di recarsi al fiume per lavare le sue splendide vesti perché di lì a poco si sarebbe sposata.

Svegliatasi, la bellissima principessa, ricordando il sogno, fece tutto ciò che era stato suggerito. Alla foce del fiume, come predisposto da Minerva, incontrò il naufrago Ulisse del quale subito fu attratta e al quale subito chiese di recarsi al suo palazzo per presentarsi al re Alcinoo. Ulisse accettò e, accolto molto benevolmente dal re, iniziò a raccontare le sue peripezie, ascoltando con commozione le quale, Alcinoo gli promise che lo avrebbe aiutato a far ritorno ad Itaca.

Una nave per Ulisse.

E così fu infatti il re concesse a Ulisse una nave ed una scorta per far sì che quest’ultimo raggiungesse la sua terra. Ma prima che questo avvenisse, l’eroe rispose alle domande del re su chi egli fosse, da dove venisse e quale fosse stata la sua vita fino a quel momento. Ulisse quindi, con grande commozione e con giustificato orgoglio, fra il silenzio e l’attenzione di tutti gli astanti, iniziò il suo racconto. ‘Sono figlio di Laerte, sono conosciuto ovunque per il mio valore e la mia astuzia, la mia patria è Itaca… La maga Circe e la ninfa Calipso mi hanno tenuto molto tempo presso di loro perché innamorate di me.’.

Il discorso di Ulisse prosegue assumendo toni sempre più drammatici ed emozionanti. Questo accade quando dice che, all’inizio del suo viaggio, il vento aveva portato la sua nave verso il paese dei Ciconi con i quali dovette, insieme ai suoi compagni, combattere, vincendo. Ma i vinti non si rassegnarono alla sconfitta.

Chiesto l’aiuto delle tribù vicine, tornarono all’attacco, vincendo a loro volta. Ulisse e i suoi, a stento, riuscirono ad allontanarsi da quel luogo. Ripresa la navigazione, dopo essere scampati a una forte tempesta scatenata da Giove, giunsero al paese dei Lotofagi, che si cibano di loto, il soave fiore che dà l’oblio. Tale fiore fu offerto ai suoi compagni che dimenticarono tutto. Ulisse, a questo punto, dovette compiere un grande sforzo per allontanarli da quel posto.

Ulisse e Polifemo.

Di nuovo sulla nave. Un’altra terribile esperienza attende l’eroe e i suoi compagni: l’incontro col ciclope Polifemo. Sbarcati infatti sull’isolotto incantevole e ricco di selvaggina, dopo una buona mangiata e un sonno ristoratore, Ulisse con dodici dei suoi compagni andò alla scoperta del luogo. In pochi minuti, giunsero ad una caverna nella quale c’erano appesi grandi formaggi e, in appositi recinti, capretti ed agnelli. Curioso di vedere l’uomo sicuramente gigantesco e mostruoso che abitava quell’antro, Ulisse non ascoltò gli inviti dei suoi compagni ad allontanarsi da lì al più presto. Ed ecco che, ben presto, giunse il ciclope Polifemo il quale, scorti i suoi ospiti, domandò loro chi fossero.

‘Siamo Achei e veniamo da Troia; Giove ha spinto qui la nostra nave, quindi ci aspettiamo di essere accolti come ospiti, giacché veniamo in pace’, rispose Ulisse. E il ciclope: ‘Non risparmierò di certo te e i tuoi compagni soltanto per evitare l’ira di Giove! … Ma dove hai lasciato la tua nave?’.

La lotta con Polifemo.

L’astuto Ulisse pensò bene di non dire la verità. Gli riferì che la nave era andata distrutta per volere di Nettuno. Nessuna parola uscì dalla bocca di quell’essere mostruoso ma, per tutta risposta, il ciclope afferrò due compagni dell’eroe. Li uccise sbattendoli a terra, li fece a pezzi, li divorò senza lasciare neanche le ossa, dopodiché si addormentò pesantemente.

Ulisse, poiché la caverna era chiusa da un masso tanto pesante che nessuno avrebbe spostato, pensò di accecare l’unico occhio del ciclope infilando in esso un tronco di oleastro bene appuntito. Inoltre l’eroe disse a Polifemo di chiamarsi ‘Nessuno’. Per cui, quando alle sue urla per l’essere stato accecato, gli altri giganti gli chiesero chi gli avesse fatto del male. L’eroe dell’Odissea rispose: ‘Nessuno!‘. Così facendo, Ulisse ebbe il tempo necessario per giungere alla nave. Ma Polifemo era figlio di Nettuno, il dio del mare, il quale, per vendicarlo, scatenò una furibonda tempesta alla quale però Ulisse e alcuni dei suoi compagni scamparono.

Altre disavventure.

A questa terribile esperienza ne seguirono altre. L’approdo al porto dei Lestrigoni, giganti selvaggi e spietati. L’approdo presso l’isola di Eolia dove Eolo, dio del vento, infilò in una otre i venti favorevoli che avrebbero preservato Ulisse di altre tempeste. Ma i compagni dell’eroe, incuriositi dal contenuto dell’otre, l’avevano aperta disperdendo così i venti propizi e scatenando quelli maligni. Successivamente ci fu l’arrivo presso l’isola Eèa dove, in seguito alle magie di Circe, i compagni di Ulisse furono trasformati in maiali.

Poi ci fu la discesa di Ulisse nell’Ade, il regno dei morti, per conoscere il futuro. Le insidie delle sirene che con il loro melodioso canto convincevano tutti coloro che l’ascoltavano a rimanere con loro. E qui Ulisse, per resistere a tale meraviglia, si fece legare all’albero della nave.

Scilla e Cariddi.

Ancora dopo. L’eroe e i suoi compagni dovettero affrontare la furia di Scilla e Cariddi. Quest’ultimo risucchiava l’acqua del mare fino a mostrarne il fondo, poi la risputava sconvolgendo completamente la superficie. Si innalzavano getti poderosi di vapore e onde e schiume che ricadevano come pioggia sulla parte più alta degli scogli. E mentre, Scilla, mostro a sei teste, ghermiva con i giganteschi serpenti dei suoi sei lunghi colli, sei uomini di Ulisse gettandoli nel suo buio antro per divorarli.

Miracolosamente sfuggito all’orrore sconvolgente di Scilla e Cariddi, si presenta la Trinacria, la bella isola in cui il Sole faceva pascolare il suo gregge. ‘ Quell’isola è la gioia degli uomini’ avevano detto ad Ulisse sia Circe che l’indovino Tiresia, incontrato nell’Ade. Continuando: ‘ma là vi aspettano le insidie più grandi, quindi farete bene a oltrepassare le coste senza fermarvi’. Ricordando ciò, l’eroe aveva riferito ai compagni. Questi vollero fermarsi. Qui, mentre Ulisse dormiva, mangiarono le giovenche sacre al Sole che, sconvolto, salì all’Olimpo per chiedere giustizia a Giove.

Calipso.

Questi lo rassicurò mandando una nube nera sul mare, Zefiro – vento – si avventò sulla nave, tutti i compagni di Ulisse furono scaraventati in mare ed annegarono. Soltanto Ulisse rimase attaccato ad un pezzo di legno della nave e, dopo nove giorni, approdò all’isola di Ogigia, dimora della ninfa Calipso.

Così Ulisse aveva ultimato il suo drammatico racconto fra lo sconcerto di tutti. Alcinoo fu il primo a riprendersi e a proferire parola: ‘Consolati Ulisse, hai avuto la fortuna di capitare da noi e presto, sono sicuro, farai ritorno alla tua Itaca e all’amore della tua famiglia’.

Ulisse in viaggio verso casa.

Fatti i dovuti sacrifici agli Dei, dunque Ulisse si allontanò dalla terra del magnanimo Alcinoo diretto verso la sua patria. Qui giunto, l’eroe assunse le spoglie di un mendico. Si diresse verso la reggia. Venne riconosciuto dal figlio Telemaco e dal fedele cane Argo che morì rivedendo il padrone. Qui Ulisse lottò contro i Proci ai quali Penelope, moglie di Ulisse, aveva promesso che avrebbe sposato uno di loro. Questo non appena avesse finito di tessere una tela. La tela di Penelope era quindi portata avanti di giorno e disfatta di notte. Questo stratagemma al fine di prendere tempo per non dover sposare alcuno dei Proci nell’attesa del ritorno di Ulisse.

Sbarazzatosi dei Proci e abbracciato dalla fedele Penelope, finalmente Ulisse poté riabbracciare il vecchio padre, Laerte. L’eroe dell’Odissea potè trascorrere, assieme alla sua famiglia ed al suo popolo, nella serenità e nella gioia, i restanti anni della sua vita. Questo grazie all’intervento di Minerva.

 

Odisseaultima modifica: 2012-11-23T18:15:00+01:00da overflow975
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